Che cos’è?

Si tratta di un danno non patrimoniale che trova il suo fondamento nell’art. 2059 c.c., oggi interpretato in chiave diversa rispetto al passato. Sebbene tale norma, infatti, faccia riferimento ai “casi determinati dalla legge”, ormai il riconoscimento del danno viene slegato dalla configurazione del fatto come reato e dalla previsione della fattispecie in una norma di legge ordinaria.

Il danno da perdita del rapporto parentale viene a configurarsi come un danno che un soggetto subisce, in conseguenza dell’attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di altra persona legata alla prima da un rapporto di natura familiare e/o affettiva, il che ha determinato lo stravolgimento di un sistema di vita che trovava le sue fondamenta nell’affetto e nella quotidianità di tale rapporto, nonché una sofferenza interiore derivante dal venir meno dello stesso.

LA POSIZIONE DELLA GIURISPRUDENZA 

Da tempo la giurisprudenza ha elaborato la figura del danno da perdita parentale, risarcibile ai familiari di una persona deceduta a causa del fatto illecito altrui, delineandolo come “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. civ., sez III, ord., n. 9196/2018).

LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO

La liquidazione del risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, avviene sulla base di una valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ecc.

La mera titolarità di un rapporto familiare o anche di convivenza non determinano automaticamente il diritto al risarcimento del danno che,  invece, va in ogni caso allegato e descritto e provato dalla parte interessata.

La prova, può essere offerta per testimoni oppure in via documentale o per presunzioni. Essa deve mirare a dimostrare tutti gli aspetti sopra esaminati e perciò deve consentire di desumere, in primis, l’attualità del legame affettivo tra il parente e la vittima, la sua importanza e la sua non occasionalità.

UNA RECENTE SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La sentenza n. 8218 del 24/03/2021 ha rilevato, come, il rapporto caratterizzato da reciproci affetti; l’assenza della convivenza non comporta aprioristica esclusione del risarcimento; piuttosto, la convivenza costituisce elemento probatorio utile a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur

Il requisito della convivenza perde vigore. Rileva il rapporto caratterizzato da reciproci affetti. La convivenza, piuttosto, escluso che possa «assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in parola», «costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur.

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