Che cos’è?
La maternità surrogata, definita comunemente utero in affitto, consiste in una pratica di procreazione assistita.
I soggetti necessari coinvolti in questa pratica sono i seguenti:
– Committente/i (coppia eterosessuale o omosessuale, ma anche uomo o donna single);
– Madre biologica,
– Bambino
La pratica è fortemente discussa, ma ciò che rileva in questa sede sono i profili legali della stessa.
Cominciamo con il dire che questa pratica in Italia è vietata dalla legge sulla PMA n. 40/2004 la quale punisce coloro che realizzano, organizzano o pubblicizzano ogni forma di maternità surrogata in cui la gestazione avviene per conto d’altri.
Queste condotte costituiscono un reato.
Esistono, però, alcune agenzie che si occupano di effettuare la pratica di maternità surrogata all’estero, in Paesi in cui tale pratica è legale e normata dalla legge interna.
Rivolgendosi alle suddette agenzie la coppia di genitori si reca presso uno degli Stati in cui tale pratica è legale, il padre dona il proprio seme (anche se esistono casi in cui il donatore è esterno) che viene impiantato negli ovuli della madre surrogata la quale porterà avanti la gravidanza.
Quale reato integra questa condotta?
La condotta sottesa alla maternità surrogata, ossia l’adozione di un figlio partorito da un’altra donna, integra il reato di alterazione di stato, previsto e punito dall’art. 567 c.p.
La legge 40/2004, infatti, all’art.12 comma 6 punisce la commercializzazione di gameti o embrioni e la maternità surrogata con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro!
La giurisprudenza ha però chiarito che il fenomeno della maternità surrogata non è reato qualora, come già ricordato, avvenga in Stato che ammetta questa procedura e poi, successivamente, trascritto in Italia.

Sebbene la legislazione italiana risulti ad oggi arretrata rispetto all’evoluzione scientifica e culturale della società, recentemente è stata presentata in Italia una proposta di legge per legalizzare l’utero in affitto.

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