Non voglio più mantenere i miei figli, possono togliermeli?

Assolutamente sì, la mancata corresponsione prolungata del mantenimento ai figli configura una situazione di violenza economica e permette al giudice di modificare le condizioni dell’affidamento condiviso.

In che cosa consiste la violenza economica?

La violenza economica, inquadrata e descritta nella Convenzione di Istanbul e ratificata in Italia con la legge n. 77/2013, consiste  in una serie di comportamenti omissivi che non permettono ai familiari di godere di una indipendenza economica, esercitando un controllo indiretto sulle scelte di vita degli stessi.

Come ottenere una sentenza di condanna per “violenza economica”?

Inutile dire che non è semplice, poiché si tratta di provare l’inidoneità del ruolo di genitore.

Questo inadempimento è da ritenersi alquanto grave nella misura in cui si realizza un completo disinteresse e sprezzo del padre per le esigenze di educazione ed istruzione delle figlie, atteggiamento che si somma alla mancata corresponsione del mantenimento.

Questo indirizzo è basato su un orientamento costante della Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 26587/2019) che configura tali condotte come un’inidoneità ad affrontare le maggiori responsabilità derivanti dall’affido condiviso, arrivando a concretizzarsi in una fattispecie di violenza economica.

Veniamo ora ad un caso concreto:

La vicenda prende il via dalla volontà della ex moglie di risolvere il frequente problema dell’omesso pagamento delle spese di mantenimento da parte dell’ex marito nei confronti delle due figlie.

Le condizioni, concordate ed omologate dal Tribunale di Velletri al tempo della separazione, prevedevano l’affidamento condiviso delle figlie, con diritto di visita del padre e obbligo di corresponsione di un assegno pari a 500,00 euro mensili per il mantenimento delle stesse, da corrispondere alla madre.

Il padre, nel corso degli anni, oltre a non corrispondere alcuna somma, rivendicava il diritto di decidere del futuro scolastico delle figlie, arrivando a non dare il consenso per la loro iscrizione scolastica presso l’istituto proposto, preferendo un istituto nel Comune più vicino alla sua residenza. La madre presentava, quindi, ricorso ex art. 709 ter c.p.c. per chiedere l’autorizzazione all’iscrizione delle figlie, senza interpellare il marito. Il Tribunale di Velletri ha riconosciuto come ingiustificato il rifiuto dell’uomo nella scelta dell’istituto scolastico scelto e lo ha condannato alle spese di giudizio.

In un secondo ricorso ex art. 709 ter, secondo comma, c.p.c., veniva inoltre sollecitata la condanna ad una sanzione in capo al padre per non aver rispettato nel corso degli anni il diritto di visita ed aver omesso per più di quattro anni il versamento del contributo di mantenimento, ignorando un precedente richiamo ufficiale.

È, quindi, evidente come la Giurisprudenza di merito si stia muovendo verso condanne sempre più severe per coloro che si disinteressano dei propri figli, sanzioni che non sono esclusivamente di carattere economico.

(fonte www.brocardi.it )

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